LA SCIAMATURA


LA SCIAMATURA






La sciamatura è sicuramente uno dei momenti più imponenti che l’alveare sa mettere in atto e lo fa malgrado l’apicoltore cerchi di contrastarla nei più svariati modi. L’ape, in questo caso, agisce come molti altri animali, ovvero nasconde una situazione delicata della propria esistenza, con un’espressione di forza. Ma che sia più un voler sembrare che non un essere pericolosa, lo sa bene l’apicoltore che può recuperare lo sciame senza troppe difficoltà, se non quelle relative alla sua dislocazione in luoghi impervi. Ma perché l’ape ha bisogno di incutere tanto timore? Per spiegarlo abbiamo bisogno di fare un piccolo passo indietro e capire perché l’ape sciama.

Se consideriamo l’alveare il vero organismo (o super-organismo) — astrazione che abbiamo detto, negli scorsi articoli, esserci di grande utilità per comprendere i comportamenti dell’ape — dobbiamo pensare alla sciamatura come il suo modo di riprodursi. A seguito di questo avvenimento, infatti, avremo due colonie, una che rimarrà nell’arnia di origine, mentre l’altra, se l’apicoltore non è lesto a raccogliere lo sciame, andrà a colonizzare un tronco d’albero o un anfratto nella roccia. E la riprova dell'efficacia di questo meccanismo ce la fornisce lo studio della migrazione che ha impegnato l’Apis melliferafin dalla sua comparsa sulla Terra. Essa è, infatti, originaria della zona tropicale dell’Africa e, nel giro di due o tre milioni di anni, ha colonizzato praticamente tutto il mondo, America compresa, anche se, questo continente, lo ha raggiunto solo grazie al fatto che l’apicoltura era considerata un allevamento troppo radicato nella vita dell’uomo, per non tentare la trasmigrazione in nave.

Ma per conoscere questo fenomeno fin nei suoi particolari più intimi, dobbiamo spingerci ancora di più all’interno dell’alveare. Ciò sarà utile per comprendere il motivo per cui alcune tecniche apistiche sono utili al suo controllo, mentre altre no.

La regina, come ormai sappiamo, produce una serie di sostanze chimiche, dette feromoni, che hanno il compito di inviare dei ben precisi messaggi alle operaie; uno di questi, le inibisce nella costruzione delle celle reali. Nei suoi continui contatti con le api nutrici, la regina cede loro questo feromone che, nel giro di poche ore, raggiunge tutte le compagne della colonia. Se la quantità di questa sostanza non è sufficiente, esse sono stimolate a costruire le celle reali. Ciò può avvenire perché la regina è vecchia e produce poco feromone (e allora le api la sostituiscono, ma non sciamano), addirittura perché è accidentalmente morta (e lo si riconosce perché le api fanno diventare celle reali delle normali celle da operaia nelle quali vi sia un uovo o una larva non più anziana di due giorni), oppure perché le api operaie sono così numerose che il feromone non è sufficiente a inibirle tutte: in quest’ultimo caso l’alveare sciama. Siccome vi sono delle regine che geneticamente producono più feromone, la selezione potrebbe fare molto per ridurre questo fenomeno; alcuni apicoltori, che hanno notato come dei loro alveari sciamano molto meno di altri, allevano regine più volentieri partendo da questi ultimi, piuttosto che da altre famiglie. Anche sostituendo spesso le regine si inibisce la sciamatura, in quanto quelle giovani producono molti più feromoni delle anziane. Una conseguenza pratica di questo, assodato che l’anzianità della regina dipende dai cicli di covata a cui ha dato origine, è la consuetudine, assunta da molti professionisti, di cambiarle il più tardi possibile (agosto-settembre). In primavera, non avendo potuto deporre che poca covata, queste regine sciameranno solo molto raramente.

Abbiamo detto che le operaie sono stimolate a produrre celle reali, quando il feromone che ne inibisce la costruzione è insufficiente. Quando ciò avviene la famiglia entra nella cosiddetta “febbre sciamatoria” che, mano a mano che passano i giorni, è sempre più pronunciata e difficile da bloccare. In questa situazione, la regina viene alimentata, dalle api nutrici, in misura minore, il suo addome, conseguentemente, subisce una riduzione di grandezza e smette di deporre uova; ciò è essenziale affinché, quando verrà il giorno di lasciare l’alveare, possa prendere il volo senza alcun impaccio; le api operaie sono più irrequiete, perdono la spinta al raccolto cosicché diminuisce anche la produzione di miele. Dopo circa 15 giorni dalla deposizione dell’uovo nella cella reale, la vecchia regina lascia l’alveare con circa metà delle api. Le prime operaie escono dall’alveare e formano, davanti al predellino, la cosiddetta “barba”. Nel frattempo alcune compagne prendono il volo e, nel giro di poco tempo, tutte le altre le seguono. Quando esce la regina, lo sciame parte; si poserà subito dopo, solitamente sul ramo di un albero, nelle immediate vicinanze dell’apiario. Lì vi potrà rimanere da alcune ore fino ad anche 2 giorni. Contemporaneamente alcune api, dette “esploratrici”, si avventurano nell’ambiente per cercare una dimora stabile per la famiglia.

Nell’arnia di origine, invece, sta per nascere la nuova regina che dopo alcuni giorni (circa una settimana), sarà pronta per il volo di fecondazione e, quindi, a produrre nuove uova partecipando così alla crescita della colonia.

Adesso possiamo rispondere alla domanda con la quale eravamo partiti. Le api cercano, con una manifestazione così grandiosa, di incutere timore a possibili nemici che sono sempre in agguato. Basterebbe, in una situazione così precaria, che un uccello mangiasse la regina, per far fallire questo momento così importante e delicato per la vita delle api. Inoltre, le operaie possono utilizzare il pungiglione, la loro migliore arma di difesa, solo con difficoltà. Ciò perché, prima di lasciare l’alveare, hanno riempito la loro borsa melaria con abbondante miele, che sarà utile loro, nei giorni a venire, sia per la sussistenza della nuova colonia, sia per iniziare presto la costruzione dei primi favi.


PREVENZIONE DELLA SCIAMATURA

Da aprile a giugno, a seconda delle zone e dell’andamento climatico, gli alveari sono spinti, da un istinto comune a tutto il resto degli esseri viventi, a riprodursi e, lo abbiamo visto, lo fanno attraverso la sciamatura. L’apicoltore, invece, considera questo evento un avvenimento negativo perché, se da una parte aumenta il numero degli alveari, dall’altra riesce a produrre, sia con lo sciame che con la famiglia d’origine, solo poco miele. È essenziale per un’azienda che vuol rimanere nel mercato, limitare al massimo la sciamatura provvedendo, all’aumento degli alveari, con la produzione di sciami artificiali; due cose, come vedremo, che possono facilmente essere abbinate.

Ma non sempre le pratiche apistiche che l’apicoltore pone in atto, sono sufficienti a limitare l’istinto delle api; mettere il melario con molto anticipo, ad esempio, non cambia l’equilibrio ormonale della colonia e, quindi, previene la sciamatura solo se questa dipende da una mancanza di spazio nel nido; evidentemente, e per lo stesso motivo, è molto rischioso metterlo in ritardo. Ma la mancanza di spazio, potrebbe anche essere dovuta ad una operazione sbagliata dell’apicoltore. Infatti, e lo abbiamo visto quando si è discusso di alimentazione, molti di essi nutrono gli alveari senza verificare se questi ne abbiano effettivo bisogno. Quando le scorte sono sufficienti, l’alimento in più somministrato dall’esterno, va ad occupare prezioso spazio, di cui in primavera c’è il massimo bisogno, nei favi; spazio che la regina potrebbe utilizzare per deporre.

Anche la distruzione ogni 8 giorni di tutte le celle reali, non ha molto senso. Infatti se può servire a fermare la sciamatura, a patto che l’apicoltore non ne scordi neppure una (e non è facile quando il numero delle api è sovrabbondante), ciò non blocca, invece, la “febbre sciamatoria”; conseguentemente avremo un forte indebolimento della famiglia che si riprenderà solo dopo molto tempo.

Invece, per prevenire la sciamatura, bisogna mettere in atto un vero e proprio programma che ha ripercussioni sia nel lungo che nel breve periodo; nel primo caso, già visto in precedenza, abbiamo in mente, ovviamente, la selezione di linee di api regine che portano nel proprio corredo cromosomico, una scarsa attitudine alla sciamatura. Nel secondo, invece, a tutta una serie di interventi nell’alveare, che sono senz’altro meno complessi, ma più onerosi in quanto a dispendio di energie.

Oltre a nutrire solo gli alveari che ne hanno bisogno, gli apicoltori debbono togliere, prima che la famiglia costruisca le prime celle reali uno o due telaini di covata e uno o due telaini di scorte con i quali produrre degli sciami artificiali o rinforzare delle famiglie deboli. Al loro posto vanno collocati dei telaini con fogli cerei in modo che, da una parte, si rallenta il ritmo di deposizione della regina e, dall’altra, si asseconda il forte desiderio delle api alla costruzione dei favi.

Se durante una visita primaverile, ci accorgiamo che una famiglia ha già prodotto una serie di celle reali e, quindi, si sta apprestando a sciamare, possiamo sperare di bloccare la febbre sciamatoria soltanto dividendo la famiglia in questo modo: si introducono, in un cassettino porta sciami, che si pone vicino all’alveare che si è deciso di dividere, la regina con due favi di covata, di cui una nascente, e uno o due favi di scorte. Quindi si distruggono tutte le celle reali eccetto una, quella che crediamo migliore e anche la più anziana. Dopo circa 15-20 giorni possiamo riaprire l’alveare per vedere se la regina è nata ed è stata fecondata. Se tutto è andato secondo le nostre aspettative, possiamo tenere le due famiglie o anche riunirle (dopo aver eliminato la regina più anziana), se la loro forza non consente la produzione di miele; la riunione sarà, invece, l’unica alternativa possibile se le cose non sono andate secondo i nostri desideri.





RACCOLTA DELLO SCIAME

Non è escluso che, malgrado si mettano in pratica tutte le tecniche a nostra conoscenza per impedire la sciamatura, le api ne abbiano così desiderio che non le si riesca a frenare. L’unica possibilità, in questo caso, è munirsi di tanta pazienza e cercare di recuperare lo sciame. Ciò può essere molto facile se, come spesso accade, esso si va a posare su un ramo basso di un albero nelle immediate vicinanze dell’apiario. In questo caso, si pone una cassetta portasciami (o anche un’arnia), subito sotto lo sciame, se possibile senza rompere il ramo perché, vista la preferenza accordata, in futuro potrebbe ospitare anche altri sciami; con un colpo secco, lo si fa cadere all’interno della nuova dimora che, munita di telaini, si riporta, dopo qualche minuto, che di solito è necessario per farvi entrare la maggior parte delle api, insieme agli altri alveari dell’apiario. Se, al contrario, si vuol popolare un apiario situato distante da quello originario, si deve attendere molto più tempo, di solito fino a sera, affinché tutte le api rientrino nell’arnia perché, altrimenti, lo sciame perderebbe api, troppo importanti per il suo futuro sviluppo.

Quando, invece, si va a collocare in luoghi impervii, allora la cosa si fa più complicata e di volta in volta va studiata una strategia mirata. L’unico espediente che può essere utilizzato nei casi difficili, e quello di introdurre nella cassetta un telaino di covata liberato dalle api, preso “in prestito” da un alveare dello stesso apiario. In questo modo le api dello sciame, attratte dalla covata, entrano in poco tempo nella nuova dimora facilitandoci il compito. In seguito è meglio riporre il telaino nell’alveare originario perché abbiamo notato che lo sciame, quando gli si lascia il favo di covata, ha bisogno di più tempo per espandersi, probabilmente perché alcune api, preziose per il lavoro di bottinatura e costruzione dei nuovi favi, sarebbero utilizzate per nutrire e riscaldare la covata aggiunta.

Ma dallo sciame è possibile anche produrre del miele (finanche un melario e più), se si opera come segue: nella cassetta, dopo aver recuperato le api, si aggiungono solo cinque telaini con foglio cereo e un diaframma; sopra di esso si pone l’escludiregina ed un melario con i telaini già costruiti. Dopo circa quindici-trenta giorni, si visita il nuovo alveare e si aggiunge, se necessario, un altro telaino nel nido e così via, fino ad invernare la famiglia su 7 o 8 favi.

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